Talete e la videopoesia
La servetta di Tracia, carina e graziosa secondo Platone, sbeffeggia Talete che a forza di guardare il cielo, cade nel pozzo, che poi è una pozzanghera. Platone ricorda la storiella citando Socrate che definisce il vero filosofo come colui che indaga «le cose che sono» ossia le idee, tralasciando «le cose che gli stanno appresso».
Mi son ricordato del malcapitato Talete quando Sarah Tremlett (introducendo il saggio di Marc Zegans su una videopoesia di Rich Ferguson) suggerisce di utilizzare lo schermo video-poetico come una spazio filosofico. Di certo è una primizia perché avendo attraversato quasi cinquant’anni di videopoesia, non mi era mai capitato di sentire con tanta forza e determinazione il richiamo alla filosofia. Credo che nel caso di Sarah, però, l’aneddoto platonico vada decisamente capovolto, intendo dire che non è tanto interessata alle idee, quanto alle cose «che gli stanno appresso», cose reali, precise realtà e non propositi fumogeni o virtuosismi elettronici. Per restare dentro alla metafora di Talete, indagare la pozzanghera, ciò che gli sta sotto i piedi e non le fanfaluche che gli passano per la testa. Lei stessa ribadisce «we need to hear Real Voices and see Real Values at work and connective aesthetics whatever scheme Trump trumps up». L’affermazione è perentoria, mi fa venire in mente la dittatura del fatto elaborata a suo tempo da Dziga Vertov, « necessitiamo di voci autentiche, valori reali e un’estetica connettiva qualsiasi trappola Trump inventi » [impossibile tradurre il gioco di parole sul cognome del presidente degli Stati Uniti]. Ritengo che controbattere tutto l’armamentario tecnologico in atto oggi ricorrendo allo strumento artistico sia tempo sprecato, la lotta di Davide contro Golia. Ciò che si può fare, nel nostro particulare, è sviluppare quello che Sarah sintetizza con l’incisivo schema connective aesthetics.