14 Ago Enzo Minarelli “Poema a COLORI”
POEMA A COLORI
opere visuali 1977-2022
a cura di Valeria Tassinari
Enzo Minarelli (Cento, 1951) è una figura di notorietà internazionale nell’ambito della poesia visuale, un territorio di interazione tra arti visive e parola che egli interpreta e promuove in maniera particolarmente originale. Poeta, performer, scrittore, videopoeta, artista, studioso, autore del Manifesto della Polipoesia (1987), pubblica libri, audio-cassette, dischi, cataloghi, CD, DVD. Ha creato 3ViTre Archivio di Polipoesia, consultabile presso l’Università di Bologna e il Lincoln Center di New York. La mostra “Poema a colori” prende spunto dal titolo di una performance con musiche originali di Ares Tavolazzi che fu ideata ed eseguita dall’artista nel 1991, in occasione del quarto Centenario della nascita del Guercino. L’omaggio al grande pittore seicentesco, partendo dal quale è costruita questa mostra di taglio antologico che propone alcune delle più significative produzioni visuali di Minarelli, si ripeterà anche nella Pinacoteca di Pieve di Cento, nella sala che ospita un intero ciclo di affreschi guerciniani.
Pinacoteca Civica “G.Campanini” Pieve di Cento
Via Marco Rizzoli, 2, 40066 Pieve di Cento BO* 051 686 2638
La mostra resterà aperta dal 31 agosto al 3 novembre 2024 secondo gli orari della Pinacoteca.
vernissage 31 agosto ore 18.30
Enzo Minarelli
Poema a Colori (davanti al Guercino)
di Valeria Tassinari
Viaggiare sull’ala della poesia per lungo tempo è un esercizio funambolico di r-esistenza, una pratica che richiede l’affinamento continuo dell’equilibrio, e il coraggio di mantenere una leggerezza concentrata senza cedimenti sul filo inquieto della parola. “Life is a long walking poem”, scrive Enzo Minarelli pensando alla propria storia, nella quale arte e vita da quasi cinque decenni si intrecciano profondamente, nel baricentro di una vasta produzione creativa, imprescindibilmente legata a un intenso vissuto di relazioni, esperienze, amicizie, viaggi. Perché si deve camminare molto, è vero, in questo poema che è la vita, ma è meglio farlo un pochino staccati da terra, praticando quell’affinamento della sensibilità e del desiderio che spinge a provare modalità differenti e a cambiar sempre un pochino la propria inclinazione, mantenendo però coerente la rotta.
Minarelli pratica la poesia – in senso letterale e anche materiale – con l’agilità di un acrobata e la sapienza di un artigiano. Ampiamente conosciuto sulla scena internazionale tanto per la sua attività artistica quanto per la sua competenza di collezionista, studioso e promotore della ricerca “verbo-visuale”, nel cui ambito la sua produzione si configura per la peculiare capacità di eludere le definizioni e le classificazioni, un aspetto di “atipicità” che tutta la critica gli ha riconosciuto e che continua ad essere la punta di diamante della sua poetica.
La sua ricerca ha origine alla fine degli anni Settanta, quando, ripercorrendo la linea tracciata dai pionieri delle Avanguardie novecentesche con piena consapevolezza dei modelli ma anche con piccoli significativi deragliamenti, ha compreso che la conquista del senso sarebbe stata per lui un ininterrotto esercizio di rottura, slittamento e riposizionamento delle regole della comunicazione. Senza perdere di vista l’asse portante che sta, dunque, nell’interazione di parola – forma – suono – azione, si è così potuto concedere molte possibilità espressive, .
Nato a Cento nel 1951, precocemente attivo a Ferrara nell’ambito dello storico Centro Video Arte diretto da Lola Bonora, straordinario cantiere pionieristico e incubatore di talenti specializzato in quelle che all’epoca erano le nuove tecnologie, si è subito distinto per la sua anomalia. Originale per attitudine e per scelta, insofferente e sottilmente eversivo rispetto alle definizioni, anche a quelle meno convenzionali, alla metà degli anni Ottanta ha coniato un neologismo – il termine “Polipoesia”(v. Manifesto della Polipoesia, 1987)- che indica l’idea di un orizzonte creativo in espansione indefinita, dove molto o forse tutto può essere legittimamente rilevato come materia poetica, senza limitazioni di modalità e strumenti. Concentrando nella vitalità perturbata dell’azione dal vivo tutti gli spazi intermedi che collegano antitesi come manualità e tecnologia, razionalità ed emotività, ironia e impegno, l’artista è demiurgo che modifica il senso di ciò che tocca e pronuncia, e in questa regia, che coniuga arte e vita, confluiscono così le storie che fanno la sua storia.
Partendo dalla libertà reclamata dai Maestri del primo Novecento, Minarelli sa certamente ripercorrere con il proprio passo, il proprio corpo e la propria voce, le differenti pratiche che lo hanno preceduto, ma sa anche definire in un nuovo paradigma la grammatica delle loro portentose irregolarità: quelle dei Futuristi, naturalmente, pensando alle impaginazioni sinestetiche di parola-suono-forma di Marinetti e di Corrado Govoni, il provocatorio universo del nonsense di Dada e del Surrealismo; poi, dal secondo dopoguerra, l’amata lezione della Poesia Concreta di Pound e Cummings, le esperienze internazionali di Poesia Fonetica, per arrivare all’humus ricchissimo e ancora germinante del movimento Fluxus, consolidato in Italia da aggregazioni di riferimento come il Gruppo 70.
Se registrazioni vocali, collage, oggetti trovati, video, performance live, disegno, pittura, scultura, installazioni, fotografie, grafie sono, dunque, il portato di una libertà acquisita come naturale eredità delle arti del secolo scorso, l’ampiezza di azione continua a essere potenziata dall’evoluzione della scienza, tanto che un lettering quasi ingenuo nella sua semplicità può valere quanto le nuove tecnologie elettroniche, analogiche o digitali, poiché i mezzi espressivi rimangono strumentali e non centrali.
Questo universo di relazioni, in cui nulla per lui può mettere in discussione la funzione baricentrica della parola, e la voce rimane regina sulla scena, si aggancia alla ragione stessa di esistenza della poesia, che è indicazione di senso al pensiero ed è capace di guidarlo ovunque esso debba essere spinto da un’urgenza a volte dissacrante, a volte epistemologica, a volte puramente emozionale. Si collocano su questa linea di tensione tutte le eterogenee modalità con cui Minarelli ha cercato il suo equilibrio imperfetto in quella sintesi un po’ sghemba tra i linguaggi che gli consente di sperimentare la pienezza del verbo/verso senza mai ancorarsi alla descrittività. Ad esempio le “cose”, rilette come messaggi o utilizzate alla stregua di oggetti di scena, come il rudimentale megafono che spesso compare con evidente funzione iconica; le Fono-foto-grafie, che già nel loro nome cantano visioni; i Poemi Opachi e quelli nitidissimi, orchestrati su un’unica parola; i Polipoemi, performativi e ritmici, scanditi dal tempo dell’azione, sempre preziosa per la sua unicità e ricchezza polisensoriale.
Ed è proprio un esempio di polipoesia tra i più intensi a dare il titolo a questa mostra, un’antologica che si propone come un rapido giro di orizzonte su uno scenario creativo dalle molte coloriture, e che al tempo stesso indica la capacità di entrare in dialogo con l’ampia raccolta di dipinti antichi e moderni esposti nella sezione permanente della Pinacoteca di Pieve di Cento.
Poema a colori è, infatti, un inno alla molteplice essenza del colore nella sua identità espressiva più autentica, un’identificazione che per Minarelli non proviene dall’osservazione mimetica del reale ma nasce, invece, da quell’esercizio concettuale che sempre si mette alla prova sulla tavolozza di un pittore. Composto e performato per la prima volta nel 1991, come omaggio in occasione del quarto centenario della nascita del Guercino (il grande artista barocco nato nella sua stessa città nel 1591), il poema si avvale di un intervento musicale originale del noto jazz session man Ares Tavolazzi, fondamentale per sottolineare il gioco suono-parola mediante variazioni che evocano le sfumature percettive e simboliche delle peculiari cromie guerciniane, espressione fondamentale della poetica del pittore centese. Ripetendo ora la performance in un nuovo contesto, di fronte a un prezioso ciclo di pitture murali del Guercino che illustrano l’episodio di Tancredi e Clorinda nella Gerusalemme Liberata di Torquato Tasso, Minarelli ha dunque l’occasione di mettere in azione un nuovo gioco di rovesciamento interpretativo, perché proprio laddove un poema è diventato pittura, il colore diviene parola poetica. Ut pictura poësis, si è detto, e si dice ancora.[1]
[1] “Come nella pittura, così nella poesia”, locuzione del poeta latino Quinto Orazio Flacco (I sec.) che indica la reciprocità delle due arti, qui intese come “sorelle”.