Mercoledì scorso 22 maggio, in una stanza della bolognese Sala Borsa, ho presentato il recente libro di Enzo Minarelli “Distici distanti”, pubblicato da Le Lettere, che solo poco tempo fa aveva ospitato pure un mio saggio globale sul poeta di Cento, steso assieme al collega Pasquale Fameli. Eravamo tutti ancora sotto lo choc della morte di Nanni Balestrini, ma l’incontro non appariva incongruo e fuori tono, dato che Minarelli tra i vari autori della costellazione sperimentale è uno dei più vicini al laboratorio balestriniano. Se non altro proprio nella convinzione che sia ancora possibile praticare la poesia lineare, nonostante i legittimi atti di sabotaggio che l’intera tradizione delle avanguardie vecchie e nuove ha condotto nei suoi confronti. Del resto, lo stesso Minarelli non ha mai mancato di svolgere le sue forti pratiche eversive nei confronti del lineare. Non per niente proprio nel saggio che gli ho dedicato ho paragonato il suo percorso a un’imbarcazione che all’inizio solca il pelo dell’acqua, se ne sta in superficie, ma poi dà a se stessa un ordine di immersione e allora affonda negli spessori della materia verbale, affrontandone i vari aspetti, sonorità, gestualità, frammenti visivi. Non per nulla il nostro autore applica a se stesso la nozione di “polipoesia”, che a me piace molto, dato che vi scorgo all’interno la presenza, magari involontaria, di un polipo, e questa mi sembra proprio l’immagine più conveniente al Nostro, quella di un polipo, pronto a insinuare dovunque i suoi tentacoli lunghi, penetranti, fatti apposta per afferrare e magari riportare in superficie. D’altra parte, accanto a questo versante della provocazione più spinta, ci sta invece l’approdo a forme in apparenza classiche, anche sul versante metrico, come nel caso presente, posto sotto il segno di “distici”, cioè di formazioni regolarissime, nel numero di sillabe, e delle strofe che occupano come schiere di soldatini le pagine del volumetto. La cosa appare al primo sguardo, con una monotonia voluta, ossessiva, dove la divisione in anni non sta a indicare svolte tematiche o formali, ma corrisponde quasi alle “giornate di lavoro” di un frescante, diligente nel suo operare. Il che mi porta anche a un’altra similitudine, valida pure nel caso di Balestrini. In fondo, entrambi affrontano una “ingens silva”, una giungla quasi inestricabile, lussureggiante, ma proprio per porre rimedio a tanta esuberanza essi impugnano le cesoie di un giardiniere pronto a potare, a sagomare in modi perfino troppo regolari tanta incontenibile informalità.
Ma non dimentichiamo che subito dopo l’evocazione della misura canonica dei distici, da poeti dei vecchi tempi, o da geometri implacabili, compare il termine di “distanti”, a fare la differenza. Infatti potremmo dire che qualsivoglia comunicazione linguistica normale cura che tra i vari elementi, sostantivi, verbi, articoli, ci sia sempre la giusta distanza, né troppo né poco, una variazione di queste intercapedini provoca invece un inevitabile effetto di straniamento. Che può sussistere anche per un eccesso di vicinanza, ovvero attraverso la repressione totale dei collanti, portando le parole ad accostarsi “a secco”, come per un muro di mattoni che sdegnano la calce. Ritornando alle solite metafore marinare, in questo caso direi che è come quando la rete dei pescatori tira fuori dall’acqua un ammasso di pesci boccheggianti, costretti a un’orrida convivenza negli ultimi spasmi dell’agonia. O invece i “pesci” riportati a galla possono essere convenientemente distanziati, spaziati tra loro, ma forse la distanza è soprattutto quella che li separa a livello tematico, di significati, portando ad accostamenti insoliti, strampalati, assurdi, come appunto avviene in questi distici, che ci offrono ciascuno un bombardamento di nozioni catturate da ogni angolo della semantica. Il che beninteso non è affatto un qualcosa di inedito, anzi, è l’affidarsi a una pratica tra le più scontate in ambito avanguardistico, da quando Breton e i suoi compagni accostarono casualmente i due vocaboli, il “cadavre” e l’”exquis”, fermandosi subito a quel primo passo dichiarando che nessun accostamento avrebbe potuto risultare più nuovo, incredibile, stuzzichevole di quello ottenuto per puro frutto del caso. Sennonché, appunto, i Surrealisti si fermarono a quel primo passo, e in ciò sta tutto il senso delle prime avanguardie, paghe dei loro esiti qualitativi, mentre ai successori costretti a remare nei decenni dopo, come Balestrini e Minarelli, è toccato il compito ingrato, faticoso, spossante di estendere quegli atti sottraendoli dal privilegio della qualità per farne un incalzante prodotto della quantità, della ripetizione smisurata, insaziabile. Ricordiamo tutti che proprio Balestrini per farsi aiutare in questa ricerca smisurata di accostamenti casuali sfruttò un calcolatore. Minarelli, quel calcolatore se lo è tenuto nella testa e lo ha fatto frullare, ma con la medesima frequenza e intensità.
Enzo Minarelli, Distici distanti, Le lettere, pp. 179, euro 16,50.