Distanza distica

Il rinnovato incontro dopo molti anni con il poeta Enzo Minarelli dalla vasta opera di poesia vocale e lineare, per presentare il suo libro più recente Distici distanti. Poesie 2014-2018 (Firenze, Le Lettere, 2019) a Ferrara, ha realizzato una sorta di sincronicità, o meglio anti-sincronicità: la città che per me fino ad allora era stata “metafisica” (ombre dei fratelli de Chirico ecc.)  si è trovata per un pomeriggio riportata a una dimensione più “fisica” dai distici di Minarelli.  Da qualche anno si nota in Italia e non solo un rinnovato interesse per il “genere” metrico-letterario del distico. (A New York, per esempio, si è istituzionalizzata una “Couplet Reading Series”.)  Non coltivando di solito esercizi poetici su forme fisse (a eccezione, tempo fa, di un libro di sonetti), mi sono accostato a questi Distici con uno sguardo, per così dire, verginale; e ho seguito disciplinatamente l’ordine del libro leggendo per ultima la postfazione, dove l’autore spiega utilmente la tecnica di queste sue poesie. Per parte mia, interpreto l’attributo di “distanti” conferito ai distici nel senso che ciascuno di essi è una piccola entità autonoma; dunque in questo libro non c’è una “storia” nel senso più immediato del termine. Eppure, in qualche modo, qui una storia c’è: lungo il filo dei versi si sente a volte la presenza di un soggetto (assomigliante a Enzo Minarelli), il quale sembra dire: ‘Io la penso così’, “Io la sento così’; e grazie a questo elemento soggettivo il libro sviluppa un percorso che va al di là di una serie di medaglioni aforismi battute. A tale continuità contribuisce anche un dettaglio apparentemente minimo: la parola d’apertura di ogni distico ha l’iniziale minuscola anziché maiuscola   — così creando una fluidità di passaggi. In effetti, buona parte dell’efficacia di un esperimento poetico come questo è il suo aspetto incrementale: se la raccolta fosse stata breve, avrebbe corso il rischio di ridursi a un esercizio virtuosistico; invece, lunga com’è (178  pagine), rivela il suo impegno conoscitivo.

Le dimensioni stilistiche centrali del libro sono la paronomasia e la rima (usata, quest’ultima, con molta vivacità d’immaginazione). Fra i vari altri elementi, mi limito a menzionare l’uso del verso sdrucciolo, con la sua particolare mescolanza del tono colto con quello popolare   — per esempio: “il pianoforte rotolò giù dal pianerottolo / fortissimo crescendo sarà l’andante rantolo”. Del resto, questi distici hanno in generale una forma irriverente e colloquiale. (Per esempio, in un distico appare il termine popolare scaracci, che nel mio dialetto bolognese suona scarach, ovvero “sputo”.)  Ma ciò si combina disinvoltamente con una raffinatezza di stile    —  come in questa ripetizione di tipo epanalettico: “dir troppo di cose di nessuna importanza / dir troppo poco di cose di gran importanza” (che potrebbe anche essere una definizione ironica della poesia). Affiora anche, sotto la superficie della leggerezza, una densità di implicazioni intellettuali e riferimenti letterari. Come in questa interessante immagine (non manualistica o edulcorata) del pensiero di Antonio Gramsci: “il pipistrello da come vola converso lo riconosci / come Gramsci imprevedibile imprendibile t’ammosci”. O come questa parafrasi di uno dei più abili racconti di Italo Calvino, L’avventura di un soldato (protagonizzato da Nino Manfredi in un film a episodi): “fumana a fitti strati irriconoscibili tra finestrini in corsa le oscure stazioni / come nell’avventura di un soldato la tendina isola penetrazioni in varie posizioni”. 

Questo ci introduce a un filone importante nel libro di Minarelli: l’eros, inteso in un senso lato e cognitivamente penetrante. E’ una vena che svaria dal burlesco e grottesco, come in: “palpeggia rubiconda di soppiatto per astinenza / molestatrice modesta propendo per l’indulgenza”, e: “che tu appaia cristallina anche davanti ad un paio di ceffi / paffutella fanciulla tu attiri schiaffi ed un paio di sberleffi”; fino al già menzionato effetto di implicazione letteraria: “calligrafo da tergo nel tuo boudoir / callipigia mia sono scrivano noir” (dove si allude a un episodio particolarmente provocante del famoso romanzo settecentesco di Choderlos de Laclos oggetto anche di riduzioni cinematografiche: Les Liaisons dangereuses [Le relazioni pericolose]). In effetti, è significativo che uno degli ultimi distici del libro (quello che a parer mio lo suggella) sia: “sventrare sverginare equivale a coventrizzare / vergare svergognare volgarizzare svirilizzare”. E’, questa, una violenza suggestivamente strana, che colpisce in direzioni opposte. E che ricorda, al di là delle varie neo/post/para/semi-avanguardie, l’avanguardia storica italiana (ancora essenziale). Questa bellicosa fila di infiniti  (si ricordi l’importanza del verbo all’infinito nella poetica marinettiana) ha un effetto di allegro cataclisma, il quale evoca il nichilismo solo per ridimensionarlo in una specie di allegria. Ricchezza, dunque, di questo libro dai vari strati.

Paolo Valesio