Blaine! Blaine! Blaine!
Bang! Bang! Bang! Un triplice bang contro la Poesia intesa come lamento, frustrazione, lagna o compenso esistenziale, contro la Politica intesa come il macronismo o l’estrema destra, contro l’Arte arrivista e mercantile. Questo Tomo V (gli altri quattro sono usciti dal 2013 a cadenza biennale) è all’insegna della diversità, lo dichiara lo stesso Blaine nella prefazione, «imagine que ce livre soit un livre normal», perché in realtà non lo è. Si tratta del tentativo di differenziarsi da quella massa di libri che ripetono sempre la stessa cosa, di « livre le livre» o meglio, come suggeriva il compianto Philippe Castellin, di «dé-livre», facendo sì che il libro assuma una nuova funzione sia creatrice che di contro informazione.
Impossibile incasellare la sua mastodontica produzione che copre la seconda metà del Novecento e si estende prolifica fino ad oggi. Il mio amico newyorchese Richie Kostelanetz negli anni Settanta ha coniato il termine di polyartist, potrebbe essere nel nostro caso una definizione giusta nel senso che Julien ha sperimentato tutti i mezzi possibili senza un attimo di tregua, però non rende giustizia a quella che è la sua caratteristica principe, una raffinata ricerca linguistica che lo connota a prima vista e che emerge imponente anche da questo volume. Si muove con l’agilità del funambolo tra calembour ed i sottili ma esilaranti trucchi della retorica. Se il metodo è «D’abord parler avec la bouche/parler avec la langue/…puis écrire avec la bouche/écrire avec la langue», lo scopo allora si concentra su «sang/cent/sens/sans», quindi «cent sens sans sens».
Questo è, volenti nolenti, il paradosso della poesia, sviluppare molteplici significati, per poi infilarsi nelle contraddizioni del linguaggio, evidenziando minimi spostamenti fonetici tra orage ed orange, cocasse e coasse, je me tus et je me tue, oppure contrasti cromatici come avviene tra noire ed ivoire.
Scorre davanti ai nostri occhi tutta la caleidoscopica attività blainiana ricca di suggestioni argute e note autobiografiche, ne estrapolo alcune che rendono a tutto tondo l’anima veritiera dell’artista attento osservatore della realtà circostante. Per esempio, riporta due fotografie, una del suo pugno chiuso, l’altra con la mano aperta, la pelle nel primo caso, nonostante l’età allude a «l’illusion de la jeunesse » mentre nel secondo si rivela per quello che è, rugosa, maculata, invecchiata, il che rimanda direttamente all’importanza del gesto per quanto minimo esso sia.